Passeggiata Letteraria

sabato 30 luglio 2016

"Vite sbandate" : il fascino della Storia "scritta da noi"

Prendo fra le mani "Vite sbandate. Brigantaggio nel Basso Salento" (Esperidi Edizioni) di Ivan Ferrari e resto, per qualche secondo, ad accarezzare la copertina di quello che mi sembra uno scrigno di tesori.
Sono pronta a fare un salto nel passato, lasciandomi, come spesso mi accade, affascinare dalla Storia. Il prestigioso volume si apre sul giorno del plebiscito, quando i cittadini borbonici sono chiamati a scegliere se annettere o meno il Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna. Quel 21 ottobre del 1860 votarono i sudditi di sesso maschile che avevano compiuto i 21 anni d'età. La segretezza  del voto non fu certamente garantita e le autorità locali tennero discorsi atti a sottolineare i vantaggi del voto favorevole all'annessione e gli svantaggi che sarebbero derivati dal no.
L'unificazione dell'Italia fu un processo a dir poco tortuoso  e deluse le aspettative e le speranze del popolo dell'Italia meridionale. Il cambiamento promesso non arrivò e il brigantaggio diventò, per questo, la reazione armata, che aveva come obiettivo una maggiore giustizia sociale e una più equa ridistribuzione della ricchezza terriera.
L'autore ha esplorato pagine di  storia rimaste taciute, curando un'idagine dettagliata che ha portato alla pubblicazione di un volume, in cui ci fa sentire direttamente coinvolti. Ricostruisce le vicende brigantesche del Basso Salento, raccontando le varie sommosse popolari, come quella di Poggiardo o Taviano e Racale, le invasioni di Zollino, Scorrano Cutrofiano condotte dalla banda di Capitan Sturno. E Ferrari ci racconta ancora, attraverso documenti, testimonianze, non solo gli scontri a fuoco, le lotte corpo a corpo, ma persino le tresche amorose. E mentre scorre la lettura, con il desiderio di ricordare nomi, date, luoghi, si ha la sensazione di guardare un film in bianco e nero, dove protagonisti sono uomini semplici, animati dagli ideali di patria e libertà, che combatterono nei e per i nostri paesi, nei e per i nostri borghi. E quando si giunge all'ultima pagina, il desiderio, il bisogno, è quello di uscire e attraversare quelle stradine comuni, le masserie visitate e rivisitate più volte, fermarsi sulla piazza dei nostri paesi, entrare nelle chiese, nelle botteghe, sedersi su muretti a secco per ascoltare la storia del nostro passato custodito nel silenzio di una voce che le pietre non hanno o che forse noi non sappiamo ascoltare.
E poi il pensiero a quei piccoli eroi,  a quei contro- eroi di cui dovremmo conservare o risvegliare memoria, a cui dovremmo rivolgere la gratitudine per aver portato avanti una battaglia, che forse sapevano persa in partenza, solo per lasciarci un'Italia basata sulla vera giustizia, e in cui tutti, indistintmante ci sentissimo uguali e ugualmente liberi.
E un sentimento di gratitudine anche al professor Ferrari, per averci regalato pagine della nostra Storia, raccontate da chi le ha vissute, testimoniate, scritte. E grazie ancora e soprattutto per averci invitato a ricordare che la storia, come cantava Francesco De Gregori, siamo noi. E che nessuno noi  deve sentirsi escluso. Forse anche noi allora troveremmo il coraggio di provare a lasciare un'Italia migliore ai nostri figli.

(Tiziana Cazzato)

venerdì 29 luglio 2016

"Una parte di me" di Giulia Campa: un delicato tuffo nel mare dei sentimenti

Arrivo in fondo a questo libro, letto in una manciata d’ore e chiudendolo mi dico che, se anche non lo avessi saputo dal nome sulla copertina, non avrei avuto esitazioni nel riconoscere, dietro la penna, lo sguardo di una donna.
Io credo che esistano due modi totalmente differenti di guardare all’amore: l’uomo lo vive, lo fa divenire un aspetto della sua esistenza; la donna ne è attraversata.
Una parte di me (Lupo Editore) di Giulia Campa è il racconto della vita di un uomo, dalla sua infanzia fino all’età della maturità, trent’anni; e, per quanto si possa immaginare che sia stata tortuosa questa vita, altro non si può fare, descrivendola, che registrarne gli eventi. A meno che il punto d’osservazione non sia femminile. Allora quel racconto diventa viaggio attraverso l’Amore; e l’Amore non è solo quello che si consuma in una coppia, ma è quel misterioso spirito che pervade ogni fibra dell’essere, dominandone le azioni.
Amore, dunque, come motore del mondo.
Amore e odio. Perché non c’è positivo senza il suo negativo, non si coglie la luce senza aver conosciuto il buio.
Il lettore attraversa la vicenda esistenziale di Lorenzo, il protagonista del libro, percorrendone il sentiero tortuoso, facendo tappa laddove gli snodi sono stati difficili.
Una vita come tante, forse, a volerla guardare con distacco.
In fondo, nel quotidiano si registrano innamoramenti, vite che si legano le une alle altre, tradimenti che sfilacciano e, a volte, recidono legami, figli che nascono da grandi amori o da incidenti di percorso. Vite ordinarie, parrebbe, dove il fluire della vita a volte viene deviato da scogli più o meno incombenti. Lorenzo ci racconta la sua vicenda con parole che rinunciano alla cronaca degli eventi, che pure emergono chiari e circostanziati; tuttavia chi legge non resta su quel piano, indotto com’è a nuotare il mare dei sentimenti, delle sensazioni, delle percezioni dettate da Giulia Campa, la quale ha regalato il suo femmineo a Lorenzo e lo ha fatto parlare da quella prospettiva.
Amore e odio, dicevo.
Odio che genera dolore.
Il dolore è il sentimento più soggettivo che esista, il più dominante. Colui che soffre crede che il mondo intero ne abbia contezza e percezione. Di più: il suo dolore lo vorrebbe universale, vorrebbe che l’universo intero si fermasse, bloccandone il fluire sfacciato che ignora la morsa in cui è bloccato il singolo.
Il dolore genera immobilità.
Il dolore desertifica.
Il dolore fa dimenticare l’amore, lo rinnega, lo schernisce, lo riduce ad un mucchietto di gratuite illusioni, favolette che finiscono con l’essere smascherate.
Ma Amore è forza, è coraggio; a volte è violenza, quella che strappa alle comode convinzioni, che getta via le coperte di un giaciglio rassicurante seppur non del tutto appagante.
Amare è scegliere con difficoltà, accettare di soffrire, lanciarsi nell’esaltazione del bello e precipitare, a volte.
Amore non è un fiore delicato, è una pianta forte; è “la rosa del deserto che nasce dal fortunato incontro tra sabbia e gesso, fragile eppure robusta, resiste alle insidie dell’arsura e indica, con la sua bellezza che la vita è più forte dell’odio”
Leggo e penso che la vita è un corso d’acqua: si genera, rigoglioso, forte della possente energia della roccia che lo ha partorito; poi si dipana nel mondo, ritmando il suo andare, adattandosi al suolo che lo raccoglie e lo accompagna, accelerando a volte, cedendo il passo altre volte; si inabissa quando incontra terreno cedevole; diventa sabbia quando il sole è bruciante, si immobilizza in lastre gelide se il fuoco smette di ardere; si annoda in anse tortuose che ne deviano il percorso o si avviluppa in mulinelli vorticosi dentro cui si può perdere l’orientamento. Ma la fine è sempre una strada piana, larga, che conduce con mano sicura dentro le braccia aperte del mare, che attende, paziente, una parte di sé che torna al suo posto.
Noi siamo l’acqua del fiume: scorriamo attraverso i nostri anni, riceviamo acqua, terra, sassi, morte e vita; soccombiamo ai colpi mancini delle vicende umane, spesso cediamo le armi. Ci diciamo che la lotta è impari, il nemico è più forte o sleale e noi troppo deboli.
Amore ci insegna che, a volte, basta cambiare prospettiva e guardare l’altra faccia della medaglia; si impara che accettare gli errori degli altri insegna a guardare ai propri, che il perdono regalato è amore che ritorna; si impara che l’amore può essere imperfetto, spesso lo è, ma nel conto finale perde colui che rinuncia per codardia.
Vince chi ama. Sempre. Nonostante tutto.

(Maria Letizia Pecoraro)

giovedì 28 luglio 2016

"Sul boxer del nonno verso la poesia" di Alessandra Peluso: un viaggio d'imperdibile amore

Mi preparo a una passeggiata. Ad attraversare un lungo sentiero. Non mi è del tutto sconosciuto, ma il mio cuore, la mia mente lo sanno che esso può riservare sempre nuove sorprese. E per questo sono disposta a tornare e ci torno ancora, per respirare nuovi profumi, per prendere fra le mani nuovi colori. Afferrare nuove emozioni, chiudere gli occhi sul silenzio per riuscire a vedere oltre l'orizzonte limitato di quest'esistenza, alla ricerca continua di nuova luce, di suoni nuovi.
E per questo cammino, provando a non far rumore con i miei passi, sia quando mi muovo lentamente, sia quando cerco di non perdere la persona che mi sta accompagnando.
Non potrei avere guida migliore: Alessandra Peluso ha fatto della poesia la sua vita, e la sua vita è poesia. Negli intrecci dei suoi componimenti d'anima amante, nei quali la passione, le intense sensazioni la portano a vincere le paure  e a vivere una prima poesia. L'Amore. O quando la sua anima torna sorgente e scorre come acqua zampillante, limpida, fresca, cristallina come i suoi versi, che nascono da una penna abile, naturalmente esperta nel creare immagini, nell' uso di tecniche di scrittura che suonano, dipingono con delicatezza d'animo. E anche adesso, che ho accettato l'invito di fare questo viaggio con lei. Mi accompagna ad incontrare i poeti salentini, che abitano e vivono il Salento, questa meravigliosa terra baciata dal sole. E come un vero poeta, Alessandra non solo scrive, ma soprattutto ascolta, dà voce a coloro che sono la voce poetica di questa terra bagnata da due mari.
Ci sono poeti che conosco e che, ascoltandoli nelle loro pagine, mi hanno fatto vedere cose che i miei occhi non avrebbero forse mai veduto: ho attraversato l'"Antica terra", meravigliosa, dell'amico Vito Adamo, ho sentito vibrare l'intensa voce di Elio Coriano, e ascolterei ancora la Signora Poesia di Francesco Pasca, e vorrei scoprire, fra le pagine di Gianluca Conte, altri degli infiniti modi d'essere della poesia. E in questa passeggiata riescono comunque e sempre a indicarmi un altro angolo da scoprire e da vivere. E incontro poeti che non avevo ascoltato e divento, come spesso mi accade, una ladra di emozioni. Di quelle che so provare, ma non esprimere, ma che loro sanno trasformare in parole universali.
Alessandra mi sta aiutando ad ascoltare e a vedere la vita attraverso la poesia. Mi sta aiutando a scoprire la bellezza del Salento che risuona nella voce dei poeti che lo abitano. Mi sta aiutando a scrutare nel Salento che vive nelle poesie di chi sa ascoltare questa terra, e soprattutto sa comporre la sua musica.
Salita "Sul boxer del nonno verso la poesia" ( Salento d'esportazione- I Quaderni del Bardo), cammino, cercando di non far fare rumore con i miei piedi che attraversano questo meraviglioso mondo, raccontato con magistrale sensibilità da una donna luminosa. Una donna che sa introdurci nel mondo della poesia, con una riflessione intrisa di gioia ed entusiasmo. Che sa indicarci la strada nel mondo dei poeti, che raccontano la loro città con versi pieni d'amore. Di POESIA.
E mi riscopro ancora, di nuovo innamorata della poesia, e sorrido perché so che presto risalirò sul boxer del nonno e ripercorrerò un sentiero, non del tutto sconosciuto e che sa sempre sorprendermi. Emozionarmi.

(Tiziana Cazzato)

mercoledì 27 luglio 2016

"Il paese della rosa peonia" di Federica Murgia: un fior di libro

Federica Murgia vive a Specchia. Federica Murgia è una donna di Specchia, ma se la incontri e inizi a parlare con lei, respiri un po' di Sardegna. In ogni angolo del nostro magico Salento, ritrova un angolo della sua isola e un profumo, un colore, un racconto le risvegliano un ricordo, un pensiero. Risvegliano la nostalgia per quella terra che le ha dato la vita, per la sua grande famiglia, per la sua gente che porta nel cuore. Ed è felice quando può condividere, regalare un racconto della sua Seulo. Nel suo sguardo puoi scorgere la luce di quel mondo in cui si fa festa quando viene ultimato il tetto di una casa in costruzione, per propiziare il benessere di chi l'abiterà.
Nella sua voce rieccheggia la vivacità, la spensieratezza, la gioia di vivere che colorano il mondo dei bambini. Ma le sue corde sanno farti ascoltare anche i suoni del mondo dei grandi: un mondo fatto di sofferenze, di privazioni, ma anche d'invidia e cattiveria. 
E nel suo cuore? Beh, c'è in ogni aspetto che caratterizza la sua vita. Nella dedizione, prima all'insegnamento, nel ricordo della sua vita a scuola fra i piccoli, nella sensibilità che manifesta verso i bambini, verso i deboli. Nella passione per l'arte, che la incuriosisce, l'affascina, l'emoziona. Nel suo amore per la natura e gli animali. Nell'amore per Specchia, il suo secondo paese, la casa del suo sposo, che vive accanto alla sua Seulo nel grande cuore di una donna che sorride, che osserva e coglie ogni particolare di ciò che racconta, incontra e vive. E lo sa narrare in racconti in cui l'amore, la gratitudine e la nostalgia per la Sardegna vengono resi eterni. In racconti tessuti con una trama e un ordito preziosi, per trasformarsi in una tela in cui si percepiscono i suoni, i profumi. Su una tela in cui sono dipinti i colori di un'isola custode di bellezza e magia. E allora, mentre mette su carta, la storia di Rosa e Giorgio, la vita del mondo contadino sardo, Federica Murgia ancora una volta ci mette il cuore. Nella prosa delicata, che non sembra aver fretta, prende vita "Il paese della rosa peonia" (Sa 'idda de s'orrosa 'e padenti) , edito da Il Raggio Verde, e tu, lettore, ti ci trovi dentro e accogli quel messaggio di speranza in un fior di libro. 

(Tiziana Cazzato)

martedì 26 luglio 2016

Poiettili di-versi di Marco Vetrugno: la verità in una poesia carica di ritmo e sonorità

Scrivere di poesia. Scrivere della poesia di Marco Vetrugno. Bisognerebbe restare davanti lo schermo o, come preferisco, davanti una pagina bianca, senza battere, senza scrivere, affinchè nè il ticchettio dei tasti, nè il frusciare della penna sul foglio interferiscano con il suono robusto, ritmato di componimenti e versi che arrivano davvero come proiettili. Per colpire chi o che cosa verrebbe da chiedersi, ma già ascoltando i primi versi si comprende che sono proiettili diversi. Sono proiettili di versi: piccoli, ma soprattutto rapidi componimenti lanciati nell'aria per portare a terra, dopo aver sfiorato il punto più alto, la verità. Una verità che il giovane poeta cerca, perché stanco di mentire, perché per una volta almeno vorrebbe essere capito.
E allora, mentre provo a scivere della poesia di Marco Vetrugno, non ascolto le mie parole: mi lascio travolgere da una poesia che non dice, ma che è.
E' il movimento ubriaco della scrittura di un poeta cieco, che sa vedere nella profondità del suo cuore e del suo essere, mentre vaga sorretto da versi che inventerà domani.
E' l'Amore. Attesa della pace che solo le carezze della sua amata sanno donargli. E in cambio egli ingannerà la morte per darle il tempo di vivere tutte le vite che vorrebbe.
E' dolore, che non finisce nelle dita, che non si esaurisce negli occhi...
E' l'ira inarrestabile di un inverno che non se ne vuole andare.
E chiudo gli occhi e mi lascio andare al ritmo di una poesia "aspramente ritmata, in ottima armonia con il suo discorso robusto e violento, drammatico ed eversivo. Di una poesia che è un'accusa rivolta al male del mondo e alla fatica di vivere", come scive Giorgio Barberi Squarotti. Di una poesia che è anche dialogo con la tradizione letteraria e poetica: Marco Vetrugno discorre con D'Annunzio, Leopardi; con i Futuristi e anche con Hemingway e Majakovsij. Alla sonorità di una poesia che l'autore sente, ma soprattutto fa vivere e sentire a chi si lascia al flusso incessante di parole che sono, di parole che si vedono e che non può fare a meno di guardare.
E ognuno le guarda con i suoi occhi, le sfiora con le sue mani, le assapora con il suo gusto, vivendole come un'esperienza personale, intima, diversa. Per questo le mie mani restano ferme sulla tastiera del computer. Per questo la mia penna non si muove sulla pagina bianca. Perché voglio ascoltare fino all'ultima poesia. Voglio cogliere e accogliere anche l'ultimo pensiero. Perché voglio che mi colpiscano tutti i proiettili di-versi e cogliere quelli che non mi colpiranno, e aspettare quelli che ancora arriveranno. E aspettare un altro anno. e aspettare un altro libro. Un altro di libro di poesia vera, di bellezza.  Di una poesia che ti fa respirare fino in fondo la vita.
Io non scriverò, perciò, di poesia. Non scriverò della poesia di Marco Vetrugno.  E voi non leggetemi, non cercate le mie parole, non perdete altro tempo: andate là dove arrivano i "Proiettili di- versi" (Musicaos Editore) di Marco Vetrugno. Vivete! Sarete!
E vorrete ancora vivere ed essere. Vorrete ancora che Marco continui a scrivere. Continui a non arrendersi.

(Tiziana Cazzato)




lunedì 25 luglio 2016

Cloro: una fresca pennellata nel noir salentino di Giuseppe Calogiuri

Un noir: accetto prontamente!
Io amo tutto ciò che ruota attorno alla cronaca nera; mi intriga l’intreccio, la pulsione fangosa che conduce ad atti nefandi, ingiustificabili, spesso ingiustificati, se guardati da lontano. Ecco: a me interessa intrufolare lo sguardo dentro le pieghe del fatto, trovarne le cause, spiegarne le azioni e, magari, cercare le stesse altrui spinte emotive dentro me.
Dunque noir. Salentino poi! Per una salentina, una scelta di pancia. Mi dico: stiamo un po’ a vedere che tipo di Salento vien fuori.
Calogiuri, Giuseppe Calogiuri: confesso la mia ignoranza, non conosco l’autore.
Ma già dalle prime pagine giuro a me stessa di porre rimedio a questo mio inconsapevole peccato e mi riprometto di colmare la lacuna leggendo il pregresso e qualunque altra riga egli scriverà. E lo inseguirò per conoscerlo e stringergli la mano, con questa mia che, indegnamente, muove sulla tastiera del PC, alla ricerca di parole che dicano quanto mi hanno regalato le sue, avviluppandomi nella sua bellissima prosa.
Le parole: già dalle prime pagine mi colpisce la grande abilità di questo giocoliere che lancia in aria le parole, le fa danzare leggere, quasi che fossero prive di peso, ma tuttavia pregne di tutto il loro valore, la carica comunicativa, la peculiarità di ciascuna di esse. Come certe belle signore, di certe città del sud, tanto a sud da essere isole; quelle signore molto eleganti che sanno indossare, mescolandole, le grandi firme della moda e le magliette del mercatino rionale, regalando a queste dignità e togliendo a quelle la prosopopea del lusso ostentato; conservando sempre quelcertononsochè che le rende speciali. L’insieme è affascinante, chic, efficace tanto da far innamorare al primo sguardo.
La prosa di Calogiuri è quel mix di preziosità e alterigia da liceo di provincia, un po’ pretenziosa e snob sembrerebbe all’inizio, se non fosse che l’autore, con mano sapiente, la mescola ad innumerevoli, scoppiettanti onomatopee, a quelle frasi piccole piccole che infarciscono il nostro eloquio quotidiano e che trituriamo fino a far diventare parole. A volte sembra di essere nel mezzo di una composizione futurista di marinettiana memoria, divertente, un tantino strampalata.
Ne risulta una lettura gustosa, nel senso più gaudente del termine. Si voltano le pagine al ritmo garbato ma svelto di capitoletti brevi, concisi e mai noiosi. Si scorrono le parole, la trama si snocciola e pare di essere divisi in due: una parte legge, sorride delle piccole battute, degli ammiccamenti, contabilizza i personaggi che mano a mano si presentano alla scena di questo palco teatrale; l’altra parte corre avanti, alla ricerca del chi altri? del dove accadrà? chi farà cosa?
Senza affanno però, perché questo libro sembra che ti tenga per mano, per entrambe le mani, invitandoti ad assaporare la passeggiata lungo il viale della storia, invitando a soffermarsi su uno scorcio piuttosto che sulle birichinate di quel gruppo di amici o sulla eleganza affettata di un certo avvocato. L’intreccio è morbido, a maglie larghe, lasciando spazio alla fantasia del lettore, il quale sceglierà da quale degli innumerevoli input farsi sollecitare. La pennellata fresca con cui si delineano i personaggi che prendono vita, come fossero tratti da fotogrammi di vecchie pellicole: come il piemme Evangelisti che si abbiglia e si muove aderendo al cliché televisivo dell’uomo di legge duro e puro, radical chic; notevole anche la figura del professor Rusconi, integerrimo docente votato alle Lettere e implacabile castigatore di liceali inconcludenti; generazioni di studenti lo hanno temuto per poi custodire gelosamente tutto ciò che, loro malgrado, da lui hanno appreso. E’ un libro che si legge e che “si ascolta”, intriso com’è dei mille rumori della vita che irrompono prepotenti tra le pagine ordinate della storia scritta, rubando spesso la scena come una tv dal volume troppo alto o come un pensiero ribelle che sgrana l’ordine di un dialogo formale; strappando un sorriso come il ripetuto RIIIINNNNGGG del cellulare che troppo spesso mozza un pensiero.
"Cloro" (Lupo Editore) è un noir in cui il delitto, l’indagine e la risoluzione dell’enigma potrebbero anche non esserci stati e il lettore ne avrebbe comunque tratto piacere, poiché le fonti di esso sono altre e tutte stimolanti.
E’ un libro garbato ed irriverente.
Contraddittorio, lo so, ma leggendolo non ho potuto fare a meno di paragonarlo ad un signore garbato, di un’eleganza sobria ravvivata da qualche guizzo di originalità, chiaro indizio di un’indole burlona, dominata e ligia alle regole nella pubblica piazza ma liberamente giocosa e sfrenata tra le mura della sua casa. Un libro da leggere tutto d’un fiato: la sua freschezza aliterà sulla canicola salentina scuotendo come uno scappellotto affettuoso.

(Maria Letizia Pecoraro)

sabato 23 luglio 2016

Cyrano ispira l'avvincente noir di Stefano Cambò

E sin dal titolo si risveglia in noi il fascino per una storia, un racconto scritto da secoli e che pure resta sempreverde, immortale. Il poeta dell'amore, famoso per il suo naso, intrappolato fra delitti e misteri? Assaporiamo già una poesia che si veste di noir. O forse è il crimine a "tingersi di poesia"?

Sono le diciassette di un freddo pomeriggio di febbraio. Il commissario Bortone invita Nando ( non gli piace essere chiamato Fernando!), giovane scrittore di noir a fare una passeggiata nella pineta. 
L'ora e la stagione non fanno certamente presagire che si tratta di una passeggiata di piacere e, mentre posiamo anche noi, insieme ai due protagonisti,  i nostri passi sul terreno secco, cerchiamo di scorgere la destinazione di questa strana uscita. L'ufficiale di polizia sembra divertirsi un po' a tenere il suo giovane amico e noi con il fiato sospeso. Dobbiamo avere solo pazienza e... ecco che davanti ai nostri occhi appare la scena di un cruente crimine. Il medico legale, la polizia scientifica e, fra loro, per terra il corpo senza vita di una donna. La testa avvolta in un sacchetto di plastica. Le mani legate dietro la schiena. Un omicidio. Il terzo in breve tempo. In due mesi quello che sta rivelandosi un serial killer ha ucciso ben tre donne. Eppure lo scrittore, a cui il commissario chiede consulenza per le indagini, non comprende il perché della sua presenza sul luogo del delitto, fino a quando un particolare attrae la sua attenzione e la sua curiosità si trasforma in urgenza di sapere, di capire, di trovare la soluzione di un caso, architettato, costruito su un perfetto copione. 
Una spada è infilzata nella corteggia di un albero. La sua lama tiene fermo un messaggio sul tronco dell'albero. Un messaggio firmato... Cyrano. 
Pagina dopo pagina cresce il ritmo della scrittura e della narrazione. Cresce il desiderio di scoprire chi si nasconde dietro l'interprete dell'indimenticabile personaggio creato da Rostand. Cresce la voglia di uscire dalla pineta, da quel freddo tagliente più della lama di quella spada, di tutte le spade trovate sulle diverse scene del crimine firmate Cyrano. 
Nel suo secondo thriller, arrivato a un anno dalla pubblicazione di "Kalendra" , con cui ha vinto nel 2013 il Concorso "Libri in Officina", indetto dalle Officine Cantelmo di Lecce con il patrocinio della Regione Puglia, Stefano Cambò si conferma un giovane scrittore di talento, in grado di creare e intrecciare storie in modo originale, a creare atmosfere, a insinuare dubbi, sospetti, a tenere il lettore con il fiato sospeso fino a un finale che non solo sorprende, ma che spiazza e ti spinge a sospirare , insieme al Nando: "Core dannatu!"
Sin dall'accattivante copertina di "Cyrano tra delitti e misteri" (Il Raggio Verde), realizzata dall'artista originaria di Presicce, Viviana Cazzato, il lettore è catturato nella trama di una storia che intinge la penna  nella letteratura classica, facendo rivivere il fascino di un personaggio che ha conquistato per secoli il pubblico delle pagine scritte e del cinema; facendo nascere il desiderio di sedersi ancora ad ascoltare o a leggere la vita del timido Cyrano, famoso per il suo naso e soprattutto per il suo animo fine e poetico.
Il giovane Cambò, quindi, con grande umiltà, lascia che a guidare la sua ispirazione e la sua penna siano le sue letture, gli scrittori intramontabili e siamo certi che riuscirà a vivere il sogno di scrivere il bestseller che lo consacrerà nell'Olimpo della letteratura di genere. Abbia pazienza, abbia costanza e... quella passione e il talento che non gli mancano!

(Tiziana Cazzato)

domenica 17 luglio 2016

Beati i... lettori che leggono i libri di Luciano Pagano

Dopo sei anni, dopo la delicata storia raccontata in "E' tutto normale" (Lupo Editore, 2010), torna a regalarci un nuovo romanzo Luciano Pagano.
Eravamo in attesa, che si aprisse il sipario sulla nuova fatica letteraria dello scrittore nato a Novara, ma che vive ormai da molti anni nel Salento.
E lui forse era dietro le quinte ad aspettare l'inizio dello spettacolo, con il terrore di quel bambino che ha paura di affogare; o con la felicità di chi scopre un velo dal mondo. E' lì Luciano, come Andrea, protagonista di "Beati puri" (Musicaos Editore), un ragazzo che ha ancora il fegato di credere, di immaginare che nell'Italia strozzata di oggi si possa vivere con l'arte, specie al Sud, dove la struttura portante è, senza dubbio, la penuria di soldi. 
Andrea Bellomo, attore e regista teatrale indipendente, si prepara a interpretare la prima della sua ultima opera, consapevole che il teatro è dove si fa la scena. E lui, infatti, trova accoglienza non in uno dei prestigiosi teatri della capitale barocca, ma  in un ex-panificio che si veste di teatro e accende i riflettori su "Mammasantissima". Andrea è pronto: o spicca il volo oppure... Alla soglia dei trent'anni non può permettersi di sbagliare. Quando le luci della sala si spengono, attraversa le assi del piccolo palcoscenico e il sipario si apre per lui su una sala letteralmente vuota. Andrea sente che la città non gli riconosce le sue doti artistiche e lo condanna a un fallimento, dal quale, forse potrebbe salvarsi, se scendesse a compromessi. O forse dovrebbe seguire l'esempio di sua sorella Maria: ha lasciato Lecce per andare a vivere nella capitale, ponendo centinaia di chilometri di distanza fra lei e sua madre. Soprattutto fra lei e suo fratello. Roma regala a Maria una fortuna e un successo probabilmente anche immeritati, facendola diventare l'attrice più ricercata dal cinema e la tivù.
Andrea la raggiunge: per motivi che possono sembrare scontati sceglie di dare a  se stesso, alla sua vita, alla sua arte una nuova possibilità. Un'occasione che lo porta lontano da mura e da strade in cui sente l'eco di un doloroso mistero. E forse si illude che la distanza possa  e sappia coprire un tormentato segreto, possa e sappia cancellarlo per sempre dal suo cuore e dalla sua memoria.
Roma riconosce il valore artistico del lavoro di Andrea e gli apre le porte non solo del teatro, ma quelle del cinema , dove si troverà a recitare in film tratto da un'opera tedesca che si intitola proprio "Beati i puri". Reciterà accanto alla sorella, ma soprattutto  si troverà a interpretare una pagina della sua, della loro vita, che era  rimasta in silenzio per anni. Una pagina della vita sua, della loro famiglia, con la quale, insieme a Maria e alla loro madre, dovrà una volta per tutte fare i conti.
E allora, quando le luci in sala si spengono e i riflettori puntano il nuovo romanzo di Luciano Pagano, dalle assi del  palcoscenico su cui si muove, il nostro scrittore scopre che la sala  per lui non solo non è vuota, ma che il numeroso pubblico è restato ad attendere sei anni con la voglia di leggerlo, con la voglia di ascoltare una nuova storia, intrisa di mistero, di veri colpi di scena, di sorprese, ma anche di importanti conferme.
 La conferma che Luciano Pagano ha un grande rispetto per i suoi lettori e non li delude e regala loro, ancora una volta, un romanzo ben costruito. Un romanzo semplicemente ben scritto, dove nulla è lasciato al caso. Dove lo scrittore riesce persino a fermare la macchina con cui sta riprendendo la vita dei suoi personaggi e a riavvolgere il nastro, per impreziosire la narrazione di un flashback o di una riflessione, che portano luce negli angoli della storia e della vita rimasti bui. Lascia in alcuni momenti il ruolo di narratore, per sedersi accanto allo spettatore, non solo per guardare con lui, ma anche e soprattutto per vivere con lui l'emozione che sta prendendo forma e vita. Coinvolgendo il lettore in prima persona, facendogli sentire che il suo punto di vista può arricchire e impreziosire lo svolgersi della storia e guidare la penna di chi la sta scrivendo.
La conferma che Luciano Pagano sa dar vita, sullo sfondo di una Lecce, dipinta come un meraviglioso quadro vivente fatto di parole che diventano voci, colori, profumi, suoni, attimi, personaggi complessi, tormentati,veri. Personaggi che cercano la forza per andare avanti in se stessi, nella speranza di quella seconda possibilità che a volte la vita riserva; negli affetti che, però, a volte, impediscono di respirare la libertà.
La conferma che Luciano Pagano sa parlare e scrivere di arte, di cultura, di vita e soprattutto di famiglia: nella sua bellezza e anche, e forse soprattutto,  nella difficoltà del suo essere.
E allora, sediamoci e taciamo. Ascoltiamo la vita che respira ancora una volta nelle pagine di uno scrittore ormai salentino, che fa sentire beati i lettori che leggono i suoi libri. Che leggono questo magnifico romanzo.

(Tiziana Cazzato)

Per Giove! che bel libro è "Senza pace" di Paolo La Peruta

Paolo La Peruta torna in libreria, con il suo secondo romanzo, "Senza Pace" (Manni Editori), a due anni da "Per Giove!" (edito dalla Lupo Editore)  e noi torniamo con entusiasmo ad aprire le porte del Caffè Letterario, gestito da Pietro Sicuro e dal suo socio Sandro, nel cuore del centro storico di Lecce.
L'ispettore Pace, costretto da una malattia in un letto d'ospedale, riesce a strappare a Pietro una promessa e il simpatico protagonista è ora più che "Sicuro"  di finire nuovamente nei guai. Pietro riesce, infatti, a mettere da parte i dubbi, le paure, un passato che ha visto l'ispettore perseguitare quelli che avevano a che fare con il Caffè Letterario e accetta di aiutare Augusto Pace, nel suo tentativo di offrire alla figlia Erica, la quale non conosce l'identità del padre, una vita serena sotto tutti i punti di vista. Peccato, però, che fare uscire la ragazza da un losco giro di affari significa mettere la vita di Pietro e quella  del maresciallo Michele Calò, sottoposto dell'ispettore, in serio pericolo.
E non sto qui a svelare altri particolari, perché non credo riuscirei ad usare con uguale maestria gli ingredienti che rendono il nuovo romanzo dello scrittore leccese di adozione (La Peruta è infatti nato a Napoli) una piacevolissima lettura.
Pagina dopo pagina la penna del nostro autore regala al lettore attimi di suspence, sorprendendolo non solo nello sviluppo di una vicenda tinta di giallo, ma anche con  tutti quei colori, come l'ironia e l'umorismo, che rendono la lettura gradevole, coinvolgente,  persino divertente. Il lettore passeggia fra le parole che, pagina dopo pagina, si trasformano nella bellezza barocca degli angoli del capoluogo leccese, negli odori che egli  riesce a respirare e nei sapori che riesce persino a gustare. Si lascia coinvolgere dalla storia, dimentico del tempo della vita reale che scorre, senza perdere alcun attimo, alcun dettaglio di un racconto scorrevole, allegro, originale, che regala sorprese e nello svolgersi dei fatti, che sfociano in un finale inatteso,  e nello stile fresco e leggero di una scrittura che cattura sino all'ultima pagina. A quell'ultima pagina che, purtroppo, alla fine, arriva e che ti fa esclamare: "Per Giove, che bel libro!" A quell'ultima pagina che, purtroppo, alla fine, arriva e che ti fa sperare di poter avere presto fra le mani un nuovo libro di questo geniale scrittore. Un ottimo libro come quello che hai divorato "senza pace".

(Tiziana Cazzato)

mercoledì 13 luglio 2016

"La storia di Raidha e la chiesetta": un racconto di libertà musica e magia

"Sulla sabbia ancora indecisa se restare fredda o impregnarsi del nuovo sole" Antonella Screti posiziona in modo più o meno stabile, vicino alla riva del mare, la seggiolina apribile. Respira la brezza, sorride alle rocce di quarzo, belle di sole e apre la cartelletta. Crea parole nate da pensieri e vede la carta riempirsi d'inchiostro, di segni, di cancellazioni, di numerazioni e inizia a raccontare una storia, "scritta con la semplicità di una confessione", citando il fisico Ignazio Licata, che cura la prefazione al libro edito da Musicaos Editore.
Mi siedo anch'io sulla riva del mare, con un piccolo libretto fra le mani. Respiro la brezza e lascio che giri lievemente le pagine. Sin dal prologo percepisco che quella della "Storia di Raidha e la chiesetta" non sarà una semplice e comune lettura. La scrittrice porta anche me, insieme ai suoi compagni di viaggio, nella piccola chiesetta, sita in una masseria di quella che è anche la mia terra, il Salento. E guida anche me ad ascoltare i suoni di un luogo che custodisce storie a cui vorrebbe dare voce. Una voce intensa come richiedono gli "abitanti" di quel posto, denso di cose che si capiscono e cose che si lasciano solo annusare. E leggendo respiro, annuso, abbandono questo tempo affannato, superficiale , per entrare in un paesaggio interiore, in un paesaggio caratterizzato da emozioni forti. Ascolto anch'io i flussi invisibili, che si muovono leggeri fra le pagine, accarezzate dalla penna del'autrice che danza sulla musica di una storia, raccontata anche attraverso la musica. Antonella Screti raccoglie e dà voce a una delle tante storie "rimosse" di una terra con la danza, la pittura, con tutti i linguaggi che ci permettono di fare un viaggio alla riscoperta di noi stessi, in un luogo privilegiato qual è il nostro magico Salento.
E, allora, seduta sulla riva del mare, con un pregiato libretto fra le mani, respiro la brezza e scopro che mentre giro le pagine e viaggio fra profonde e intense emozioni, io non sto semplicemente leggendo. Sto ascoltando la voce di una meravigliosa creatura letteraria. Sto danzando sulle note di quella musica che fa vibrare solo coloro che, come Antonella, con coraggio,
ascoltano i flussi invisibili, ma percebili della vita,  hanno la sensibilità di accogliere i messaggi e sanno dar loro voce, coinvolgendo e commuovendo il lettore.
(Tiziana Cazzato)


domenica 10 luglio 2016

La musica di un'anima ne "Il giardino murato"

Sfogliamo le pagine di un libro, ma prima di farlo accomodiamoci nel piccolo giardino murato, impregnato dei colori e dei profumi regalati dalle piante che lo rendono accogliente e familiare anche a chi ci entra per la prima volta, anche a chi, pur restando sulla soglia, si ferma ad ascoltare le note poetiche che nascono in quell'angolo in cui non solo è nato, ma vive un poeta.
Se apriamo la copertina de "Il giardino murato" di Donato Cuppone, con la leggerezza di un passo discreto, riusciamo a respirare e a far entrare nella nostra anima il silenzio delle sue parole, messe sulla carta con una semplicità e una sincerità d'animo e di cuore che disarmano.
Erano raccolte in un'agenda le poesie di Donato Cuppone. Un'agenda, amica di una vita, custode di sensazioni, emozioni, sentimenti che l'autore ha prima saputo ascoltare, cogliere, e poi è riuscito a trasformare in parole, in versi, nella musica dell'anima.
La musica di una voce che ha avuto la forza di staccare quelle poesie da un'agenda segreta, per farle diventare un libro, per farle diventare una fine ed elegante pubblicazione, curata da "Il Raggio Verde".
Ne "Il suo giardino murato", come i fiori più belli, il poeta ha seminato, curato le sue composizioni, prima di offrirle, di donarle ai lettori, con l'umiltà e la semplicità di un uomo che sa raccontare e raccontarsi. Che sa soprattutto condividere e mettersi in ascolto, insieme agli altri, di quella musica che egli stesso ha composto. La musica di una voce che stupisce anche lui, per la forza con cui riesce a urlare il suo silenzio, a liberarsi dal rifugio in cui per troppo tempo, forse, ha custodito il suo cuore, per il suo modo timido con cui tende la mano: forse per accogliere un'amicizia, ma soprattutto per donare la ricchezza del suo animo.
Le poesie di Donato sono brevi, ma in pochi versi egli riesce a far vibrare l'anima di chi li legge, muove le onde dei sentimenti, così come il vento fa danzare le onde del mare. Canta la giovinezza, quell'età carica di speranze e che, a volte, si risveglia su una vita di delusioni, di illusioni andate perdute. L'autore va alla ricerca di una via di fuga, di una dolcezza, di un vivere la magia di una favola che muore, però, in tenera età.
Canta l'amore in tutte le sue forme: l'amore per chi ci ha donato la vita, per una madre che "scriveva con le gocce del sorriso e che leggeva con gli occhi della vita"; l'amore che si traduce in dolore, quando siamo costretti a continuare a camminare lungo la strada della vita e la mente, "quando...una parola gentile nell'aria volando/ si veste di stile" ,torna all'amico di sempre, che non c'è più.
I versi de "Il giardino murato" ci portano in luoghi vicini, ma dipingono anche i profumi e i colori di terre lontane, facendo vivere nelle pagine la ricchezza del mondo, non solo quello di un uomo che si scopre poeta, ma di un mondo vario che vive e respira in un piccolo giadino murato, nel quale dovremmo entrare e sederci per respirare quella vita che, per la fretta, spesso non respiriamo.

(Tiziana Cazzato)


sabato 9 luglio 2016

Il centro (storico) della Passeggiata Letteraria

Buon pomeriggio a tutte e a tutti voi, che per caso o per scelta passate da questa pagina, iniziando quella emozionante Passeggiata che io mi appresto ad ospitare.
Ebbene sì, ho iniziato il conto alla rovescia, perché non vedo l'ora di accogliere nel cuore dei miei angoli più caratteristici la voce dei libri e degli autori di una terra che sa raccontare atmosfere, creare magie, far volare emozioni da pagine tinte di nero inchiostro.
Non indosserò accessori particolari, nè metterò il vestito della festa: tutti dicono che sono suggestivo ed incantevole ed io sono semplicemente consapevole di essere il centro storico di uno dei borghi più belli d'Italia. Avvolto dalle alte e antiche mura di palazzi che custodiscono storie che forse resteranno segrete, o che aspettano semplicemente di essere ascoltate. Stradine di bianche chianche mi attraversano lentamente, quando si arrampincano su salite vestite di gradini, per donare poi un ritmo più veloce al passante, quando scende ad affacciarsi al balcone che dà sulla banchina. E come un fiume, da destra e da sinistra, mi tuffo nell'immenso splendore di una Piazza, cinta dalla magnificenza di un Palazzo rinascimentale e dalla Chiesa Madre che gli sta di fronte. E da qui domenica 31 luglio si muoveranno i passi dei lettori, pronti ad ascoltare i miei silenzi, sottofondo a una poesia che prenderà vita. Ed io apparirò sicuramente più magico e incantevole, con la musica delle parole che danzeranno dai libri e dalle voci protagonisti della Terza Edizione della "Passeggiata Letteraria nel borgo". E i passi dei lettori si muoveranno al ritmo dei versi, della pura poesia. Le orecchie saranno attratte da pagine di storia, che racconteranno il Salento del passato. Il fiato resterà sospeso all'ascolto di racconti gialli, di thriller ambientati in luoghi a me vicini. E ascolterò le risate del pubblico ammirato dall'ironia degli scrittori e guarderò il loro stupore di fronte a descrizioni dipinte dalla penna di autori che sanno creare immagini con le parole. 
Saranno i libri di Giuseppe Calogiuri, Stefano Cambò, Giulia Campa, Donato Cuppone, Ivan Ferrari, Paolo La Peruta, Federica Murgia, Luciano Pagano, Alessandra Peluso, Antonella Screti, Alessandro Stamer e Marco Vetrugno i veri protagonisti di una Passeggiata che riserva ancora grandi sorprese.
Offrirò uno dei miei angoli più particolari a una nuova sezione, a un nuovo spazio, dedicato a "Il libro che verrà" e che vdrà protagonista il giovane Graziano Gala, un autore di pagine presenti in antologie, vincitore di premi e riconoscimenti, ci regalerà in anteprima racconti, che diventeranno un libro. E quest'anno dedicherò un cortile, o forse una corte a quel libro scritto per i bambini: i piccoli lettori ascolteranno una storia pensata per loro, ma che saprà catturare il cuore anche dei fanciulli più grandi.
Sarà uno dei giorni più belli, perché avvolgerò in un abbraccio tutti i lettori. Vivranno una notte di bellezza vera, nel segno della cultura e della letteratura. E gioirò con chi saprà aggiudicarsi i premi di "Caccia all'aforisma", il gioco che coinvolgerà il pubblico, i lettori  che, passeggiando, sapranno ascoltare, cogliere e vivere le emozioni di una Passeggiata, che valorizza un luogo, una terra e le sue voci. 

Il centro storico di Specchia